Nonostante tutto qualcuno è convinto che le centrali nucleari si reggano economicamente senza prelevare soldi dei contribuenti attraverso tasse e-o bollette più salate? Che l’atomo sia in grado di fornire energia elettrica a basso prezzo?

Se qualcuno lo crede davvero, consiglio la lettura di un articolo pubblicato qualche giorno fa da The Economist: che non è esattamente un portavoce degli ambientalisti.

Se ne evince appunto che il nucleare non si può fare senza robusto appoggio pubblico. E che con ogni probabilità il nucleare non è neanche necessario.

L’analisi dell’Economist riguarda gli Stati Uniti. Però le linee generali si adattano all’intero Occidente. Constata che le centrali nucleari hanno lunghi tempi di costruzione e costi imprevedibili.

Fino all’estate scorsa si prevedeva per gli Usa una “rinascita nucleare” con 4-8 nuovi reattori in funzione nel 2016-2018, scrive The Economist: adesso nessuno si meraviglierebbe se ne entrassero in funzione solo due entro il 2020.

Cosa è successo? La crisi economica ha ridotto il consumo di energia elettrica, spiega The Economist, mentre gli ultimi tempi di prosperità prima della gelata verificatasi nel 2008 hanno consentito di costruire centrali alimentate a gas o carbone (ahimè), e anche centrali eoliche, per venire incontro ad una domanda che si prevedeva in aumento. Ovvero: al momento l’energia nucleare non serve nemmeno.

In questo scenario, le aziende non sono propense a prendere il considerazione il nucleare. Non hanno fatto effetto neanche i 54 miliardi di dollari promessi da Obama sotto forma di prestiti garantiti dal Governo , “loan guarantees”.

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L’inceneritore di Acerra è fermo. Doveva inghiottire la monnezza di Napoli: in assenza di una decente raccolta differenziata e in assenza soprattutto di una politica di riduzione dei rifiuti, la perpetua emergenza potrebbe nuovamente palesarsi attraverso i rifiuti accumulati nelle strade. Finchè l’inceneritore ha funzionato, oltretutto, c’è stato il problema del Pm10, le famigerate polveri sottili. Nella zona del Pantano hanno sforato i limiti consentiti in ben 250 giorni su 500, secondi i dati Arpac. Il limite è di 35 sforamenti annuali.

Il Corriere del Mezzogiorno parla di due delle tre linee di incenerimento dei rifiuti ferme, ufficialmente per manutenzione programmata anche se nessuno spiega il motivo per cui è stato necessario bloccarle contemporaneamente. Una linea richiederebbe interventi eseguibili in qualche giorno, l’altra è in prognosi riservata, nel senso che non si sa quando potrà tornare in funzione.

Secondo il consigliere provinciale Tommaso Sodano (Federazione della Sinistra), ripreso on line da Stabia Channel, in realtà da ieri anche la terza linea è ferma, l’impianto è praticamente inutilizzabile e i problemi delle prime due linee sono legate a “danni di natura strutturale alle caldaie” “Un simile quadro fa emergere tutti i dubbi da anni sollevati sulla bontà dell’impianto, che assomiglia sempre più ad un vecchio catorcio, nonostante sia in funzione da appena un anno”, afferma ancora Sodano.

L’inceneritore di Acerra è nato per bruciare 1000 tonnellate di immondizia al giorno: non resta che la discarica. La Regione vorrebbe ampliare la discarica di Chiaiano in attesa (tre anni almeno) che entrino in funzione altri due inceneritori.

Ufficialmente l’emergenza rifiuti a Napoli è finita nove mesi fa. Le attribuisco il merito di dimostrare quotidianamente che il problema dei rifiuti non si risolve a base di discariche ed inceneritori.

I politici si occupano di tutto, ma non del vero, grande problema collettivo. Giulietto Chiesa ha (ri)pubblicato domenica su MegaChip la lettera sull’imminente picco del petrolio spedita in maggio da Aspo Italia ai politici per invitarli a prendere le opportune contromisure dal punto di vista economico e sociale.

MegaChip nota che nessuno ha degnato la lettera di considerazione. Poi cercherò di spiegare quale è, secondo me, il motivo.

Il picco del petrolio – il momento in cui il petrolio non sarà più abbondante e a buon mercato – renderà impossibile il nostro stile di vita basato sugli spostamenti di uomini e merci, e su merci che per la quasi totalità dipendono dal petrolio. Una prospettiva praticamente catastrofica: l’esercito tedesco la tratteggia esattamente così.

Mando un bacio virtuale a Giulietto Chiesa per aver scritto che “le polemiche contro il catastrofismo sono l’arma principale con cui, semplicemente, si cerca di impedire la diffusione della verità“. E aggiungo alcune considerazioni.

Riassunto delle puntate precedenti. Aspo Italia è l’associazione italiana che studia il picco del petrolio. Ne fanno parte uomini di scienza e docenti universitari: mica i quattro amici del bar.

Nessuno nega che prima o poi si arrivi al picco del petrolio e di qualsiasi altra risorsa naturale: la Terra non ne possiede una quantità illimitata. Si discute però su quando si presenterà il picco del petrolio. Molti esperti lo “vedono” in questi anni: già appena passato o subito dietro l’angolo.

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militari hanno un debole per l’imminente picco del petrolio. Dopo l’esercito americano, si cimenta nello studio anche l’esercito tedesco. Partorisce un’analisi che doveva rimanere riservata e che invece è finita su internet.

Tratteggia uno scenario non esattamente roseo: addirittura rischi per la democrazia, affacciarsi di alternative estremiste in politica eccetera.

Trovo ovvio che i militari si interessino al picco più ancora di quanti si occupano di energia e ambiente. Il picco è il momento in cui finirà il petrolio abbondante e a buon mercato da cui dipende l’assetto del mondo così come ora lo conosciamo. Volete sapere cosa dicono i tedeschi e come si arriva al documento originale? Ora ve lo dico.

Al centro di tutto c’è il settimanale tedesco Der Spiegel. La sua edizione internazionale on line scrive che il rapporto sul picco del petrolio è opera del Future Analysis Department del Bundeswehr Transformation Center, detto anche ZTransfBw, il centro di trasformazione delle forze armate.

Il rapporto non era nato per la pubblicazione, dice Der Spiegel: forse questo spiega, aggiungo io, i tratti più pessimistici che lo differenziano da tanti documenti ufficiali. Ancora Spiegel scrive che qualcuno ha inserito il rapporto su internet e anonime fonti governative ne hanno confermato l’autenticità al giornale. In fondo trovate il link allo studio completo.

i militari tedeschi ritengono che il picco del petrolio (se già non è avvenuto da poco) avvenga in questo 2010. Il picco è il momento dopo il quale il greggio non sarà più abbondante e a buon mercato, dato che la Terra non ne possiede una quantità illimitata. Un filino prima rispetto ad altre analisi: ma anno più, anno meno ormai ci siamo.

Le conseguenze, aggiungono, si sentiranno 15-30 anni dopo. Secondo me è uno spunto importante: finora ci si è focalizzati più sul “picco” teoricamente inteso, e meno sul momento in cui i suoi effetti diventeranno evidenti. Fino a quel momento – altro spunto fondamentale – c’è uno spazio di tempo cruciale nel quale ci si gioca il futuro.

Attorno a quel che resta del petrolio, scrivono i militari, si disegneranno i rapporti di forza fra Paesi esportatori ed importatori, e più in generale l’intero panorama mondiale.

Conseguenza: il commercio internazionale sarà più costoso e difficoltoso.

I militari tedeschi hanno il merito di averlo scritto. Però se ci pensate un attimo è un’ovvietà. Le merci, grazie alla benzina, vanno continuamente avanti e indietro per il globo. Soprattutto, sul loro andirivieni è basato il nostro stile di vita, dagli oggetti a poco prezzo Made in China alle fragole in tavola (volendo) anche per Natale. Cosa accadrà quando questo non sarà più possibile? Devastante rispetto alla quotidianità, se solo fate mente locale.

Le conseguenze tratteggiate dai tedeschi: difficoltà nell’approvvigionamento delle merci che dipendono dal petrolio, e che rappresentano il 95% del totale. Aumento dei prezzi, compresi quelli del cibo. Aumento dell’azione pianificatrice dei governi in economia – razionamenti compresi – a discapito del libero mercato.

Reazioni a catena date dal fatto che non tutti i Paesi riusciranno a prepararsi in tempo al futuro post-picco, dicono ancora i tedeschi: con conseguenti possibili tracolli economici. E possibile tracollo della democrazia, con apertura di spazi ad alternative ideologiche ed estremistiche rispetto all’assetto attuale, dal momento che il picco del petrolio potrà essere percepito come una crisi di sistema, una crisi del mondo in cui siamo sempre vissuti.

Il sistema nel quale siamo finora vissuti non è il migliore dei mondi possibili, e questa è una considerazione tutta e solo mia. Non credo che il ZTransfBw la condivida.

Quello che mi importa sottolineare è la finestra di opportunità, i prossimi 15-30 anni nei quali – secondo i militari tedeschi – ci giochiamo il futuro. Potrà essere migliore o peggiore. E’ una questione che si comincia a decidere qui ed ora.

Al forum di Cernobbio The European House Ambrosetti ha presentato “Il nucleare per l’economia, l’ambiente e lo sviluppo”, una sorta di inno all’energia nucleare: dice che è cosa buona, giusta, pulita e a buon mercato, e consentirà risparmi ai consumatori.

Altri studi dicono l’esatto contrario: l’energia fotovoltaica costa già ora meno di quella nucleare, e la forbice è destinata ad allargarsi, nel senso che il fotovoltaico sarà sempre più conveniente e il nucleare sempre più costoso.

E non solo. Il nucleare conviene alle imprese, non alla gente: come cercherò di dimostrare.

Lo studio di Ambrosetti dice – giustamente – che per il fabbisogno di energia l’Italia dipende fortemente dall’estero e dalle fonti fossili: esse causano l’effetto serra, sono costose e volatili. Si potrebbe aggiungere che petrolio e forse anche carbone sono prossimi al picco, il momento in cui finirà l’abbondanza.

Il nucleare però non risolverebbe la dipendenza dall’estero. Dovremo importare l’uranio, anch’esso, prima o poi, avviato verso il picco, come ogni materia prima disponibile sulla Terra in quantità limitate. Di sole e di vento, invece, l’Italia ne possiede in abbondanza: senza dover chiedere niente a nessuno.

Non è vero, poi, che l’energia nucleare è pulita e amica dell’ambiente. Essa contribuisce, eccome!, all’effetto serra e l’estrazione dell’uranio è molto inquinante.

E il portafoglio, e le bollette? Citigruoup, la più grande azienda di servizi finanziari nel mondo, dice che con il nucleare la bolletta dell’energia elettrica è destinata ad aumentare: non a diminuire.

Resta quello che Ambrosetti chiama “lo sviluppo”: gli investimenti messi il noto dal ritorno al nucleare, i posti di lavoro eccetera.

A parte che il nucleare dà lavoro anche a scorie umane radioattive, mi piace ricordare un vecchio articolo nel New York Times che avevo citato a proposito delle difficoltà di costruzione legate ai reattori nucleari Epr, quelli che il Governo italiano ha scelto.

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Gli incendi in Russia continuano ad essere la notizia del giorno. Da ormai due settimane. I roghi divorano foreste e torbiere. L’aria è oscurata dal fumo in tutto il Paese.

Siccità, temperatura ostinatamente inchiodata sui 40 gradi, gente che muore: un’ondata di calore come quella che mise in ginocchio la Francia e l’Italia nord occidentale nel 2003.

Però è il caldo in Russia è solo uno degli eventi climatici estremi che caratterizzano questo 2010.

Prima di arrivarci, accenno alla possibilità che il magro raccolto di grano scateni una crisi alimentare come nel 2008. E’ solo una possibilità, per ora lontana: ma è rincarato del 50% in due mesi. Cominciamo dalle anomalie climatiche: quanto fa caldo, in Russia?

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Questa foto, presa dal sito inglese di fotografie Askmen.com, è il miglior riassunto che mai io abbia visto della devastante marea nera.

Così piccolina non dispiega appieno i suoi meriti. Sotto trovate la versione ingrandita Si intitola “Un ricercatore ha colto questa immagine nel Golfo del Messico”.

Aggiornamenti freschi? Mentre il petrolio continuerà a sgorgare, si teme, fino a Natale sto intervistando per email un medico di New Orleans, la città in prima linea di fronte all’avanzare della marea nera. Godetevi la foto, intanto: poi ne riparliamo.

Il medico di cui vi parlavo si chiama Jordan Karlitz. Mi descrive la situazione e soprattutto mi sta parlando dei rischi per la salute che si aggiungono al disastro ecologico.

Il mix chimico di petrolio e disperdenti si diffonde nell’aria, e non è che faccia tanto bene… Speriamo che la situazione, già terribile, non si aggravi con gli uragani, che potrebbero portare ancor più porcherie verso l’entroterra. Domani, salvo imprevisti, pubblicherò l’intervista.

Anche il gemello francese è nei guai. Électricité de France ha annunciato che l’entrata in funzione del reattore nucleare Epr di Flamanville – il modello scelto per la rinascita nucleare italiana – avverrà con due anni di ritardo e con maggiori costi del 50%.

Quasi contemporaneamente l’autorità per la sicurezza nucleare francese ha chiesto di modificareil sistema di controllo del reattore, ritenendo che la sua sicurezza non sia dimostrata.

Si trova in un’analoga situazione l’altro reattore Epr in costruzione a Olkiluoto, in Finlandia. Di Epr funzionanti non ce n’è ancora nessuno, e in realtà l’energia solare costa meno di quella nucleare.

I ritardi e dei maggiori costi di Flamanville erano nell’aria da un pezzo. Sono diventati ufficiali venerdì.

Électricité de France ha annunciato che la produzione commerciale di energia elettrica, attesa nel 2012, avverrà invece nel 2014 e che i costi della centrale nucleare sono saliti a 5 miliardi di euro. Inizialmente erano stimati in 3,3 miliardi di euro.
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L’energia elettrica prodotta dagli impianti solari fotovoltaici costa meno di quella prodotta dalle centrali nucleari. Parola di un docente universitario di Economia. Lo storico sorpasso è avvenuto in questo 2010.

I suoi calcoli prendono in considerazione unicamente la realtà e le cifre del North Carolina (Stati Uniti), se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo.

Ma il trend è quello, alla faccia della rinascita nucleare voluta dal Governo italiano, dei falsi proclami relativi all’energia nucleare a basso prezzo e dei futuri spot per convincere i recalcitranti italiani che l’atomo è cosa buona e giusta

Lo studio su costi del nucleare e costi del fotovoltaico è di John Blackburn, docente di economia della Duke University. Si intitola “Solar and Nuclear Costs — The Historic Crossover”. Trovate il link al testo completo in fondo.

l succo del suo lavoro: il costo per la costruzione delle centrali nucleari è in aumento. Il costo degli impianti fotovoltaici è invece in diminuzione.

Così è diventato più conveniente produrre energia dal sole, al costo di 16 centesimi di dollaro al kilowattora, che corrispondono circa a 12 centesimi di euro.

Nel 2002 un reattore nucleare costava circa 3 miliardi di dollari. Ora il costo medio è salito a 10 miliardi di dollari, e sono verosimili ulteriori rialzi. Di mio, aggiungo l’esempio di Olkiluoto, il gemello finlandese dei reattori Epr che si vogliono costruire in italia.

Data questa situazione, dice ancora lo studioso, nessuna impresa è disposta ad affrontare la costruzione di una centrale nucleare senza la certezza di essere appoggiata dallo Stato.

L’appoggio (anche questa è una mia aggiunta) si traduce in denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti, direttamente e-o attraverso le bollette dell’energia elettrica.

Non a caso in Italia si parla della necessità di fissare un prezzo garantito per la futura energia proveniente dall’atomo. Non a caso Obama ha fornito garanzie basate sul denaro pubblico alla costruzione di nuove centrali nucleari negli Usa: una cosa che non aveva fatto neanche Bush.

Le firme – oltre 1,4 milioni, un numero record – sono state depositate ieri. I referendum per l’acqua pubblica si faranno, salvo nel caso (a mio parere altamente improbabile) che le firme stesse si dimostrino taroccate o che l’obiettivo del referendum risulti incostituzionale.

Per indire i referendum servivano 500.000 firme. Ne sono state raccolte quasi tre volte tanto. I quesiti referendari sono tre, portati avanti dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, noto per lo slogan “Acqua bene comune”.

ll primo dei tre quesiti referendari chiede l’abrogazione dell’l’articolo 23 bis della legge 133/2008, conosciuta come Decreto Ronchi: approvata con voto di fiducia lo scorso novembre, è quella con cui il Governo Berlusconi ha introdotto la privatizzazione dell’acqua.

Gli altri due quesiti referendari mirano invece all’abrogazione degli articoli 150 e 154 del Decreto legislativo 152/06 (cosiddetto Decreto Ambientale) del Governo Prodi, che hanno creato i presupposti per la privatizzazione.

In attesa del referendum, “Acqua bene comune” chiede al Governo di disporre la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici ai privati, e chiede alle amministrazioni locali di non tener conto delle scadenze previste dal Decreto Ronchi.

“Un milione e quattrocentomila firme rappresentano una delegittimazione di qualunque scelta tesa ad applicare il Decreto, a maggior ragione per quelle amministrazioni che vogliono addirittura anticiparne le scadenze”, dice il comitato promotore.

L’incognita più significativa resta il quorum. I risultati dei referendum saranno validi solo se andrà alle urne almeno il 50% degli elettori: che sono complessivamente circa 44 milioni.

“Acqua bene comune” si pone l’obiettivo di indurre 25 milioni di italiani a votare sì. Significa che ogni firmatario del referendum deve convincere 17-18 persone. Credo che potremo farcela.

Il comunicato stampa di Acqua Bene Comune: consegnate in Cassazione un milione 400 mila firme