L’esercito Usa: crollo della produzione di petrolio entro il 2015. Le conseguenze? Nel piatto

Torno a scrivere di picco del petrolio, cioè del momento in cui la produzione non ce la farà più a tener dietro alla domanda, dato che i giacimenti terrestri sono limitati.

E’ dietro l’angolo, già detto e ridetto. Ora l’esercito Usa – mica un catastrofista da strapazzo – avverte che entro il 2012 potrebbero scomparire le capacità produttive petrolifere in eccesso, e che entro il 2015 (cioè fra cinque anni appena) si potrebbero manifestare gravi carenze nella produzione.

Su cosa si ripercuoteranno le imminenti “gravi carenze” nella produzione di petrolio? Fosse solo sul prezzo della benzina: le ripercussioni saranno direttamente nel nostro piatto

Grazie ai derivati del petrolio funzionano auto, autocarri e aerei. Si spostano le persone e le merci. Il punto è che difficilmente si trova cibo locale: supermercati e negozi rigurgitano di roba che ha viaggiato per migliaia e migliaia di chilometri.

L’Unione Europea è il maggior importatore planetario di cibo. Ovvero, siamo i maggiori mangiatori di petrolio, il quale si avvia a scarseggiare. E questa è la prima cosa di cui bisogna tenere conto, direi.

Secondo punto fondamentale. I derivati dal petrolio sono indispensabili per produrre un gran numero di beni, primi fra tutti i concimi chimici dai quali dipende la maggior parte dei raccolti.

Anche in questo senso mangiamo petrolio. E se stiamo raschiando il fondo del barile (in senso abbastanza letterale) vuol dire che sta per diventare complicato sia produrre il cibosia farlo arrivare dall’estero.

In quest’ottica mi sembra trascurabile il fatto che il petrolio serva anche per cose come chewing gum, rossetti e collant, di cui, volendo, si può fare a meno senza troppa fatica. Serve però anche per fabbricare cortisone e antistaminici: e la faccenda mi pare un po’ più grave.

Il rapporto dell’esercito americano si focalizza sulle conseguenze economiche della situazione: costo del greggio di nuovo, e presto, oltre i 100 dollari al barile, ridotte prospettive di crescita nei Paesi in via di sviluppo e anche in quelli sviluppati. Il rallentamento economico, esacerbando le tensioni irrisolte, spingerebbe gli Stati fragili verso un’ulteriore dissoluzione, e forse potrebbe avere gravi ripercussioni anche sulla Cina e sull’India.

Non contesto mica l’analisi dell’esercito americano. Però secondo me sarebbe più importante focalizzarsi sul futuro di rifornimenti alimentari, campi di grano e campi di patate. Ma vaglielo a dire ai nostri governanti, tutti presi dall’architettura istituzionale.

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