Le firme – oltre 1,4 milioni, un numero record – sono state depositate ieri. I referendum per l’acqua pubblica si faranno, salvo nel caso (a mio parere altamente improbabile) che le firme stesse si dimostrino taroccate o che l’obiettivo del referendum risulti incostituzionale.

Per indire i referendum servivano 500.000 firme. Ne sono state raccolte quasi tre volte tanto. I quesiti referendari sono tre, portati avanti dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, noto per lo slogan “Acqua bene comune”.

ll primo dei tre quesiti referendari chiede l’abrogazione dell’l’articolo 23 bis della legge 133/2008, conosciuta come Decreto Ronchi: approvata con voto di fiducia lo scorso novembre, è quella con cui il Governo Berlusconi ha introdotto la privatizzazione dell’acqua.

Gli altri due quesiti referendari mirano invece all’abrogazione degli articoli 150 e 154 del Decreto legislativo 152/06 (cosiddetto Decreto Ambientale) del Governo Prodi, che hanno creato i presupposti per la privatizzazione.

In attesa del referendum, “Acqua bene comune” chiede al Governo di disporre la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici ai privati, e chiede alle amministrazioni locali di non tener conto delle scadenze previste dal Decreto Ronchi.

“Un milione e quattrocentomila firme rappresentano una delegittimazione di qualunque scelta tesa ad applicare il Decreto, a maggior ragione per quelle amministrazioni che vogliono addirittura anticiparne le scadenze”, dice il comitato promotore.

L’incognita più significativa resta il quorum. I risultati dei referendum saranno validi solo se andrà alle urne almeno il 50% degli elettori: che sono complessivamente circa 44 milioni.

“Acqua bene comune” si pone l’obiettivo di indurre 25 milioni di italiani a votare sì. Significa che ogni firmatario del referendum deve convincere 17-18 persone. Credo che potremo farcela.

Il comunicato stampa di Acqua Bene Comune: consegnate in Cassazione un milione 400 mila firme

Dopo l’inciucio atomico arriva l’inciucio idrico. Esponenti del Pd e del Pdl hanno fondato Acqualiberatutti che (a dispetto del nome) mira a difendere la privatizzazione e a far vincere il no al referendum per l’acqua pubblica.

Le affermazioni di Acqualiberatutti riprendono sostanzialmente quelle della cosiddetta operazione verità voluta dal ministro Ronchi: la privatizzazione dell’acqua non è mai avvenuta, è stato privatizzato solo il servizio idrico, cioè quel fenomeno per cui l’acqua arriva al rubinetto.

“Solo”? Ma è proprio questo il punto sostanziale…

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Il Governo ha posto la fiducia, la privatizzazione dell’acqua sarà approvata, pare proprio, oggi pomeriggio.

Dicono che la privatizzazione è imposta dall’Unione Europea. Balle. Tant’è che Parigi ha appena deciso di procedere alla ri-municipalizzazione dell’acqua.

Per chi volesse provare a mantenere pubblica l’acqua almeno nel suo Comune, ci sono le soluzioni proposte da padre Alex Zanotelli e da Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano. Ma andiamo con ordine.

La privatizzazione dell’acqua è contenuta nel decreto che assegna ai privati i “servizi locali di rilevanza economica”. Essi non potranno più essere gestiti da municipalizzate a prevalente capitale pubblico, come avvenuto finora.

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Siamo al “picco dell’acqua”. Anche se miliardi di persone non hanno ancora accesso all’acqua, il genere umano usa già la metà dell’acqua accessibile.

L’informazione viene dal Pacific Institute, che usa il termine “picco dell’acqua” nel suo rapporto biennale “The World’s Water” appena pubblicato.

E se il 50% dell’acqua ancora non sfruttata sembra tanto, attenzione, dice il Pacficic Institute: quel 50% sta a indicare il punto critico, già raggiunto in molte zone, in cui abusiamo della capacità del pianeta di ammortizzare le conseguenze del nostro consumo d’acqua.

Del resto, guardate la distribuzione dell’acqua sulla terra: ce n’è moltissima ma – sottratti oceani e ghiacciai – quella effettivamente utilizzabile è solo una frazione molto esigua.

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